Intervista ad Albert Pesso, di Piera Serra
Questa trascrizione dell'intervista si discosta lievemente in alcuni punti dall'originale per esigenze di editing.
Come riassumeresti gli elementi essenziali del metodo PBSP?
Mah…sicuramente il corpo e come accedere alle informazioni che sono nel corpo utilizzando una modalità che il cliente capisca e di cui sia consapevole. La ragione per la quale sono così importanti le informazioni forniteci dal corpo è perché ci interessa se sono stati sufficientemente soddisfatti i bisogni maturativi delle persone durante la loro storia. Questo perché siamo convinti che noi vediamo il mondo attraverso le lenti della memoria e della nostra storia e se i nostri bisogni primari non sono stati soddisfatti, ripeteremo quella disfunzione nel presente e nel futuro. Quindi tracciamo [track] il modo in cui il cliente percepisce il presente, ne cerchiamo la ragione storica, troviamo il momento che non è stato soddisfacente e, infine, creiamo una nuova memoria; ma creeremo una nuova memoria accedendo alla sua parte emotiva e non alla parte cognitiva. Quindi creo una nuova memoria, entrando in contatto con la parte emotiva del cliente tramite ciò che è presente nel suo corpo, per poi fargli imprimere [imprint] una nuova memoria, come se fosse successa nel passato; in questo modo non sta semplicemente accadendo nel presente. Questa è una sintesi molto veloce dei fondamenti del mio lavoro.
È possibile dire in breve cos’è una struttura?
Cos’è la struttura?… chiamiamo struttura un periodo di tempo in cui svolgiamo la terapia, perciò iniziamo con la nozione che il cliente ricostruirà una parte della sua storia. Quindi cominciamo con il micro tracking: vogliamo vedere come il cliente si sente nel presente, come pensa nel presente. Daremo quell’informazione ai suoi lobi prefrontali, al suo pilota [pilot], in modo che acquisisca consapevolezza di questo stato mentale; e quando tracciamo [track]come si sta sentendo in quel momento, a cosa sta pensando (la qual cosa è sempre basata sulla sua storia) allora iniziamo a mettere in primo piano nella sua mente gli eventi storici. In seguito, quando emergono gli eventi storici che furono una negazione dei bisogni fondamentali, creiamo un capovolgimento [reversal] e poniamo la persona in ciò che chiamiamo la sfera della possibilità. Quindi mettiamo dentro quello spazio, che è intorno al cliente, queste figure ideali, che saranno come genitori, che se ci fossero stati nel passato, avrebbero soddisfatto il bisogno di un posto [place], di nutrimento, di supporto, di protezione, di limiti, tutte le esigenze che provengono dai nostri geni. Quindi il cliente farà l’esperienza di provare i sentimenti associati ai suoi bisogni infantili, ma come un adulto che li sta osservando. Viene quindi a trovarsi in uno stato particolare, che non è uno stato ipnotico: lo chiamiamo “stato di struttura”, nel quale vede i bisogni della propria infanzia e li sperimenta nuovamente, non nel tempo reale e nella relazione con il terapeutinseriamo delle persone che interpretano il ruolo dei genitori, che gli daranno l’esperienza verbale e sensoriale che gli è mancata nell’infanzia. A questo punto il suo corpo cambia e tutte le sue visioni e le sue aspettative cambiano. Quindi gli chiediamo di posizionare questi sentimenti cambiati nel loro stato mentale, nel loro cervello, come se fossero accaduti nella memoria a lungo termine. Questo è ciò che chiamiamo struttura. Questo è il setting di ciò che facciamo con il cliente.
Il termine nuovi ricordi sembra un paradosso, poiché la macchina del tempo non esiste e noi non possiamo cambiare il passato.
Non c’è nessuna intenzione di cambiare il passato…
Come spieghi al cliente questo concetto così complesso?
Dico al cliente che gli daremo un nuovo ricordo, non per cancellare quelli vecchi, ma come un supplemento a ciò che i geni di quella persona hanno anticipato. Noi non diciamo che i vecchi ricordi non esistono, ma diamo al cliente un’esperienza nel presente e lo aiutiamo a mettere quell’esperienza all’interno della sua mente come se fosse accaduta nel passato. Questo è ciò che definisco nuovo ricordo.
Potresti spiegare un po’ più dettagliatamente che cosa si intende per aspettative genetiche?
Sto facendo una supposizione sulla teoria dell’attaccamento, ma andando oltre, poiché sappiamo che secondo la teoria dell’attaccamento ciò che accade tra una madre e il figlio avrà notevoli effetti… quindi noi stiamo espandendo ciò che la teoria dell’attaccamento suppone: che c’è stato un qualche legame. Ed è risaputo che se quell’attaccamento non è avvenuto, influenzerà il resto della tua vita in maniera negativa. Se le persone hanno delle buone basi, c’è una buona possibilità che abbiano una vita relativamente tranquilla. Quindi, nella teoria dell’attaccamento si parla di un livello molto precoce, ma io ho espanso la mia nozione, cioè suppongo che sia genetico il fatto che noi dobbiamo avere un posto [place], nutrimento, supporto, protezione e limiti…
Nei nostri geni…
Certamente, credo che sia nei nostri geni. La teoria dell’attaccamento, l’hanno appena testata, ma non sanno se deriva dai geni. Suppongono che i bambini nascano con l’esigenza di un padre o una madre, e che reagiscano a questo…
È coerente anche con le teorie della sopravvivenza.
Sì, quindi credo di avere un po’ elaborato questa teoria, quando parlo dei bisogni maturativi, e parlo di posto [place], nutrimento, supporto, protezione e limiti… ma, in seguito, vado leggermente oltre e dico -e questa è una mia supposizione- poiché sembra essere universale, se qualcosa è universale si può supporre che sia genetico. E se è universale cercare di essere una persona completa, credo sia nella maggior parte delle filosofie. Anche lo sviluppo del senso del significato e del linguaggio credo sia genetico. I bambini nascono con la spinta ad imparare, cosicché si sviluppa la consapevolezza e il linguaggio. E credo ci sia una spinta a quello che definisco il “pilota” [pilot], poiché il pilota è solo un altro nome della corteccia prefrontale, l’evoluzione di quella parte del cervello, che sovrintende al resto della personalità e la regola. Quindi sto supponendo che sia genetico e suppongo anche che sia genetico il fatto che noi vogliamo aggiungere alcune cose al mondo: anche questo sembra che sia universale. In molte religioni la gente si chiede: “Qual è la mia vocazione? Per cosa sono venuto al mondo?”. C’è una spinta ad aggiungere qualcosa, a non semplicemente sopravvivere ma aggiungere qualcosa.
Il concetto dell’evoluzione…
Credo che sia nei nostri geni. Poi, però, vado un po’ oltre e dico che al di là di quelle cose c’è una pulsione a completare le cose e credo che sia genetico. Credo che quando le persone vedono le cose incomplete, vogliono immediatamente fare qualcosa per aiutare e ciò ha a che fare con i nostri neuroni specchio. Vediamo e sentiamo ciò che l’altra persona sente, e se loro non si sentono bene, noi vogliamo prenderci cura di loro. Credo che empatia e compassione vengano dai neuroni specchio.
Interessante…
Ci sono ricerche su questo argomento nella letteratura scientifica. Cerco di essere il più scientifico possibile, non sto semplicemente inventando una specie di mondo fantastico. Ma credo che ci sia un qualche principio universale: lo ritrovo in così tanti paesi, sembra essere abbastanza universale. Credo che ci sia questa pulsione per la giustizia universale: la vediamo in tutto il mondo. Questo mi porta al vecchio argomento di che tipo di giustizia, che può essere giustizia esclusiva, ossia la mia propria… e giustizia inclusiva, che è diversità. Questo è l’essenziale. Le persone hanno delle resistenze ad accogliere un nuovo ricordo non a causa di motivazioni cognitive. È dovuto al fatto che da qualche parte nel loro cervello hanno fatto una mossa inconsapevole -non sono loro a farlo, ma il loro cervello-, quando sentono riferita un’ingiustizia, se sentono ciò troppo precocemente, prima che possa essere regolato dai lobi prefrontali. I lobi prefrontali sono l’area in cui noi interiorizziamo la nostra immagine e quella degli altri, ma se è presente solo il sé e non anche l’altro, allora si crea quel senso di: “la mia è l’unica via possibile e tutti gli altri possono andarsene all’inferno” che è ciò che vediamo in questo momento nel mondo. Questo viene dalle culture che insegnano ai bambini la nozione di ingiustizia molto prima che essi abbiano avuto gli effetti regolatori dovuti alla maturazione dei lobi prefrontali, che non sono completamente maturi fino ai vent’anni. Comunque, cerco di essere il più scientificamente, biologicamente e neurologicamente corretto possibile.
Questa scienza è in evoluzione, le neuroscienze stanno migliorando continuamente…
È così, ma hanno constatato che anche quando le scimmie vedono qualcuno fare un movimento, si accende la stessa parte del cervello della scimmia, quindi stanno sentendo quello che sente l’altra persona. Il loro cervello si sta già identificando con quello dell’altra persona in un certo qual modo.
Vorrei modificare leggermente l’argomento… durante la struttura tu introduci un padre e una madre ideali, e una conseguenza logica di questa mossa dovrebbe essere di sottovalutare i veri genitori del cliente. Tuttavia, nella mia esperienza, quando lo faccio questo non accade mai, le persone dopo una struttura sono anche più… in migliori rapporti con i loro genitori…
Sì, generalmente è ciò che si verifica.
Perché?
Perché non sono più così arrabbiati con loro per ciò che non hanno ricevuto, dal momento che adesso lo stanno ricevendo, quindi possono essere più compassionevoli, sapendo come i loro genitori erano a causa delle loro storie. Quindi li vedono da una prospettiva più ampia e senza frustrazione. Questo succede regolarmente, ogni voltquando le persone ricevono i loro nuovi ricordi dalle “figure ideali” riescono a provare molta più compassione e ad accettare le frustrazioni della loro storia. Inoltre accettano le imperfezioni dei genitori e non si aspettano più che loro siano così bravi, quindi non covano il risentimento. Questo senza però dire: “Ora andiamo avanti e perdoniamoli.” Questo non capita. Le persone ogni volta dicono: “Ora vedo mia madre come un essere umano e sono così grato per quello che mi ha dato, e posso capire ciò che non mi ha dato a causa della sua storia.” Questo è ciò che accade di solito.
Sappiamo che le strutture possono essere fatte individualmente o in gruppo, quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle due modalità?
Questa è una domanda molto interessante! Dipende dall’individuo, alcuni sono così ansiosi in un gruppo che non si sentono al sicuro a causa della loro storia, quindi occorre trovare come fare la struttura individualmente. Tuttavia, quando la si fa individualmente non c’è altra figura a parte il terapeuta, quindi, come fare la struttura individualmente senza avere l’accadimento nella relazione per correggere la loro esperienza? Il terapeuta e il cliente devono essere capaci di inventare figure ideali sufficientemente credibili, anche se nella stanza non c’è nessuno. Dunque, alcune persone hanno una memoria sensoriale sufficientemente buona e quindi possono sentire il contatto, ma alcuni non ci riescono. Quindi hanno bisogno di avere un input sensoriale e questo si può fare con un oggetto, ma non può essere il terapeuta a farlo, poiché se ciò accadesse il terapeuta diventerebbe colui che guarisce. Quindi il transfert non avverrebbe nel passato con questi genitori ideali. A volte possiamo usare una coperta per dar loro la sensazione di un abbraccio, altre volte potremmo dire al cliente: “Porta i tuoi amici e loro assumeranno il ruolo di figure ideali per te.” In questo modo possono avere l’esperienza del contatto. Con alcune persone funziona alla perfezione, e penso che sia anche meglio in certe strutture, anche in un gruppo, quando il cliente non sceglie nessuno eppure ottiene un cambiamento fisiologico. Questa è una buona cosa, poiché in questo modo si potranno fare delle sessioni telefoniche, che io faccio, ma solo con coloro che riescono a percepire quell’esperienza sensoriale. Le persone che non ci riescono, invece, non possono farlo. Alcuni clienti non hanno mai avuto una storia di vero contatto affettivo, quindi potrebbe servir loro un gruppo. Diventa quindi in questo caso necessario un gruppo.
Nella tua esperienza, che cosa può spaventare il cliente nel lavoro in gruppo?
Non saprei, ci possono essere molti… ma so che questo esiste, e alcune persone hanno avuto un’esperienza così brutta, oppure sono così timidi, o così sensibili, che ogni momento della realtà è sgradevole e non si sentono abbastanza al sicuro da esporre le loro parti sensibili e vulnerabili. Quindi non hanno avuto una storia di fiducia e di sicurezza, e quindi è necessario dare a queste persone un’opportunità per provare questa sicurezza.
Da quale caso, da quale esperienza nel condurre strutture ha imparato di più?
Oh… non ho mai inserito quella categoria nel mio cervello, credo di imparare ogni volta. Credo di aver imparato la vera lezione sull’umanità conducendo strutture e seguendo ciò che si verifica nel corpo. Quindi non mi è mai passato per la mente: “Oh, ho imparato così tanto da questa persona!” Penso che sia un apprendimento senza fine. Non ho nessun fotogramma di un evento particolare in cui ho detto: “Ah, in questo momento ho appena imparato qualcosa!” Credo di imparare ogni volta da ogni persona, credo! Ma cosa intendevi dicendo questo?
Nella mia esperienza di psicoterapeuta, ci sono alcune sessioni, alcuni casi difficili, che sono riuscita a risolvere e, mentre li trattavo sentivo una spinta a cercare nuove soluzioni e a capire di più.
In verità, sono certo che ci siano stati eventi come questi, ma non mi sono rimasti così impressi da dire: “Questo è stato quello che mi insegnato questo, quello invece mi ha insegnato quest’altro.” Mi sento come se stessi imparando continuamente. Perché ogni volta mi dispongo ad accettare ciò che è reale, e questo mi aiuta a vedere l’incredibile diversità degli esseri umani, così some gli elementi universali. Ogni persona è così unica che… sì, credo di imparare ogni volta.
È corretto dire che il metodo PB SB si è sviluppato in un certo qual modo in contraddizione, rispetto ad altre psicoterapie, per dare qualcosa di diverso al cliente?
Non ho mai sentito di dover fare qualcosa di diverso, facevo ciò che credevo andasse fatto, non ho mai pensato che fosse diverso dalle altre tecniche, poiché non mi sono formato in maniera accademica e non ho visto tutte le altre tecniche. Abbiamo semplicemente inventato in isolamento e cercato di vedere di cosa le persone avessero realmente bisogno. Quindi non ho detto: “Oh, questo è come si fa, noi lo faremo diverso.” Non ho visto com’era… ma, oh un momento, non è vero… mi sono appena ricordato di qualcosa… Interessante, mi è appena venuto in mente, è una realtà del passato… quando ho affrontato lo shock di dover lasciare New York per seguire il mio sogno di diventare un ballerino famoso, e quindi lasciando questo sogno, e andando via da New York, ho sofferto di attacchi d’ansia e di panico. Quindi sono andato a sottopormi a una terapia in un centro dove usavano alcune tecniche, credo le stessero ancora studiando, vedevo cosa mi succedeva e pensavo che fosse così ingiusto! Che io non avrei mai fatto così. Ma non pensavo che avrei inventato una nuova terapia. A quel tempo non avevo idea che avrei inventato una nuova terapia. Ho sentito che c’era disumanità, non c’erano relazioni dirette, mi stavano usando in un training.
C’era uno specchio unidirezionale e noi entravamo in una stanza dove c’erano circa dieci specializzandi, io chiesi: “Chi sono tutte quelle persone lì fuori?” e lui “No” rispose “Chi credi che ci sia lì?” Intendeva dire che stavo proiettando come se fossi pazzo… ma lo facevano in un modo spersonalizzante. Quindi credo di aver avuto nella mia formazione, e nella mia mente, che avrei dovuto essere molto più aperto e avere un vero legame, non quella roba “Chi credi che ci sia li?” e la storia degli specializzandi, eccetera eccetera… quindi ho incominciato guardando che cosa fosse proiettare. Poi ho iniziato a sapere come gestire una proiezione quando finalmente facemmo la terapia, perché ciò che abbiamo fatto è stato, il modo in cui abbiamo sviluppato la terapia è stato così inaspettato. Credo di avertene già parlato… stavamo solamente insegnando ai nostri ballerini, e abbiamo notato le tre modalità di movimento. Volevamo far sì che i nostri ballerini conoscessero a fondo come il loro corpo si muoveva, così avrebbero conosciuto meglio il loro strumento, poiché il loro strumento era il corpo. Così, abbiamo fatto il movimento riflesso, il riflesso è una parte dei movimenti. Poi c’è il movimento volontario e poi il movimento emotivo, e quando abbiamo isolato ogni parte del cervello è stato interessante. Quando avevamo quei movimenti emotivi non controllati… allora “boom” un’esplosione da dentro, e rimanemmo stupiti da cosa venne fuori. E ci rendemmo conto che le persone ricevevano un certo sollievo nel farlo. Ed è interessante che nel gruppo ognuno lasciava uscire cose, tutti insieme e quindi accadevano eventi fra di loro. Una persona poteva chiedere: “Cosa ti è successo?” e l’altro poteva rispondere: “Mi sono sentito come un bambino piccolo, e credevo che lui fosse mio padre!” E questa altra persona poteva dire: “Tuo padre? Io credevo che tu fossi il mio ragazzo!” Così ci siamo accorti che non funzionava. Quindi abbiamo pensato che quando facevano uscire i sentimenti avevano un’aspettativa su chi avrebbe dovuto rispondere. Così iniziammo a inventare la counter shape basata su ciò che emergeva. Non eravamo solo interessati alla catarsi, al liberarsi. Dovevamo lasciare uscire le esigenze all’interno di una relazione al fine di dare ad esse una soddisfazione. Quindi abbiamo iniziato a scoprire… non sapevo cosa. Non avevo visto i diversi tipi di terapia del corpo o ogni tipo di terapia di gruppo. La nostra terapia si è evoluta nelle nostre stesse lezioni di danza. Poiché noi volevamo che loro facessero tutti questi sistemi di movimento, così da avere una tecnica migliore, poi d’improvviso alcune persone non avevano più riflessi o non avevano emozioni, così pensammo che sarebbero diventati ballerini migliori, e in effetti diventavano ballerini migliori, ma entravano anche in contatto con i propri sentimenti. Quindi iniziammo a notare che avevano bisogno di qualcosa che era mancato loro nel passato, che avevano tutte queste emozioni che giacevano sotto la superficie senza mai uscire, perché non ci sarebbe mai stata una risposta. Così inventammo la risposta, basandoci su cosa veniva fuori dalle altre persone. Quindi non l’abbiamo estrapolata dalla teoria, l’abbiamo creata dalla necessità di corrispondere a ciò che veniva alla luce così inaspettatamente. Non dicemmo: “Ora inventiamo una terapia”, ma ciò è semplicemente successo! Da un lato volevamo ottenere buoni ballerini, ma dall’altro volevamo che le loro vite migliorassero. Quindi ci interessammo di più a quest’ultimo aspetto. Il nostro metodo è diventato sempre più elaborato nel laboratorio, non da quello che vedevamo nelle altre terapie. E’ solo accaduto spontaneamente, e noi siamo stati fortunati ad inciampare in questo processo. Ecco come è avvenuto, completamente inaspettato. E credo che gli altri professori si irritarono molto, credo di averti raccontato questa storia…
No…
Si irritarono… stavamo camminando lungo la strada e mi dissero: “Ho sentito che adesso ti sei messo a fare della psicoterapia! Tu sei solo un professore di danza, perché fai della psicoterapia? Cosa farai dopo? Chirurgia cerebrale?” Ed è esattamente ciò che facciamo, spostiamo le cose nel cervello. Facciamo sì che la corteccia prefrontale acquisisca quella nuova esperienza. In questo modo le persone non compiono una regressione in questo lavoro, perché rimaniamo connessi con la loro corteccia prefrontale, e facciamo in modo che ci assista nel porre questa nuova esperienza parallelamente ai ricordi vecchi. Comunque, in quel momento queste cose sono saltate fuori, e in seguito ho iniziato a leggere di più. Poi sono stato consulente in una ricerca psichiatrica per cinque anni sulla psicoanalisi e sulla terapia del comportamento. Quindi ho fatto delle letture anche su quello. Successivamente ho lavorato per un ospedale psichiatrico per otto anni, così ho iniziato ad imparare e ad insegnare. Poi ho letto ancora, ho letto di più a proposito delle neuroscienze. E’ la parte scientifica della mia mente. Se fossi diventato ballerino non mi sarei avvicinato alla scienza. Ma i miei genitori non avevano soldi per i miei studi e non erano nemmeno interessati all’istruzione in generale, quindi ho dovuto imparare da solo. Questa è la mia storia.
Molte grazie Al!
Oh, figurati!
E ringrazia anche Diana.
Certo, le sto andando a parlare proprio ora, grazie.
Pubblicato online: 11 Febbraio 2015.
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