Rifiuto ed evitamento del cibo in una bambina di tre anni in seguito ad un problema medico della sfera orale: una proposta di intervento clinico domiciliare di matrice psicodinamica


Silvia CiminoLuca Cerniglia

 

La recente letteratura ha evidenziato la scarsità di studi che riguardano i possibili interventi clinici nelle situazioni di disturbi alimentari precoci. Riporteremo il caso di una bambina di tre anni che manifesta comportamenti di rifiuto e di evitamento del cibo in seguito ad un problema medico relativo alla sfera orale. Attraverso la presentazione delle varie fasi della valutazione e dell’intervento, l’obiettivo del presente scritto è contribuire alla messa a punto percorsi terapeutici verificabili ed empiricamente fondati, presentando un innovativo lavoro clinico, che comprende un intervento psicodinamico domiciliare per la bambina. Metodo dell’intervento: Attraverso la somministrazione di strumenti empirici ai genitori per valutare il profilo psicopatologico della madre, del padre, della bambina e grazie all’utilizzo di procedure osservative per evidenziare le caratteristiche dell’interazione alimentare, il lavoro si propone di mettere a fuoco la specificità del disturbo alimentare presentato e la necessità di una presa in carico globale della bambina e del suo contesto di accudimento, che comprenda interventi clinici focalizzati e uno specifico lavoro domiciliare con la bambina. Riteniamo che la possibilità di offrire una diagnosi specifica permetta la messa a punto di un successivo intervento clinico per sostenere l’intero nucleo familiare. In particolare, si è potuto riattivare un processo di sviluppo che sembrava essersi interrotto nella fase dello svezzamento.

 

Introduzione

Gli studi più recenti mettono in luce la scarsità di pubblicazioni che riguardano i possibili interventi clinici nelle situazioni di disturbi alimentari precoci, sottolineando la necessità di mettere a punto strategie terapeutiche verificabili ed empiricamente fondate (McGrath Davis, Bruce, Cocjin, Mousa, Hyman, 2010). In particolare, scarsa attenzione è stata offerta alle situazioni in cui il disturbo alimentare del bambino persiste anche dopo l’eliminazione di un problema organico collegato alla sfera orale e/o gastrica.

A partire dal lavoro pionieristico iniziato negli anni ’80 da Kreisler e Cramer (Kreisler, 1985; Kreisler e Cramer, 1982), che hanno tentato di mettere a punto un primo modello di intervento per i disturbi alimentari infantili, si passa ai contributi più recenti di Chatoor (2002) e Benoit (2000) che hanno cercato di indirizzare specifici programmi clinici in relazione alle peculiari caratteristiche del disturbo manifestato dal bambino. Interessanti risultano anche le proposte di Manzano, Palacio-Espasa (1993) e di McDonough (2004), entrambi alla ricerca di un modello di intervento  innovativo, ma non ancora completamente sistematizzato, che utilizza la tecnica del video-feedback.

A partire dai contributi di Chatoor e Benoit, gli autori del presente contributo hanno sviluppato un intervento innovativo che, insieme all’attenzione sulla necessità di valutare attentamente la tipologia di disturbo alimentare infantile, ha utilizzato la tecnica dell’intervento domiciliare, basandosi sulla numerosa e consistente letteratura sul tema dell’Home Visiting nei casi di disagio parentale e di sviluppo a rischio del bambino (Ammaniti, Speranza, Tambelli, Muscetta, Lucarelli, Vismara, Odorisio, Cimino, 2006). Gli studi in questo campo mettono in luce come, nelle situazioni di intenso disagio sia del bambino sia del suo contesto di accudimento, possa essere opportuno offrire anche un setting di intervento domiciliare, perchè è emerso che questa specifica forma di supporto facilita l’alleanza terapeutica tra il clinico ed il nucleo familiare (Sweet, Appelbaum, 2004).

 

Obiettivi

Nel presente contributo clinico riporteremo il caso di una bambina di tre anni che manifesta comportamenti di rifiuto e di evitamento del cibo in seguito ad un problema medico relativo alla sfera orale. Attraverso il precorso di valutazione diagnostica e di intervento clinico, il lavoro si propone di focalizzare la specificità del disturbo alimentare presentato e la necessità di una presa in carico globale del bambino e del suo contesto di accudimento, proponendo come aspetto innovativo un intervento psicodinamico domiciliare per la bambina. L’intervento, nelle sue varie articolazioni, è stato svolto presso un Servizio Pubblico romano specificamente rivolto all’età evolutiva a cui la famiglia è stata inviata dal pediatra di base che fa parte del gruppo di lavoro e che segnala la necessità di un approfondimento e/o di u intervento psicologico in casi simili. Il pediatra era in costante contatto con l’equipe che ha seguito questo caso, che era composta da uno psicoterapeuta con specifica formazione nell’età evolutiva, da uno psicologo clinico esperto nel lavoro con i genitori e nella somministrazione e codifica di strumenti empirici.

 

 

 

Caso di C.

I genitori di C. chiedono una consultazione per la figlia di tre anni a causa di un rifiuto ostinato dei cibi solidi. La consultazione è stata svolta da uno psicoterapeuta esperto in età evolutiva e la valutazione clinica attraverso gli strumenti empirici (Symptom Check-List-90-R (Derogatis, 1994); Eating Attitude Test-40 (Garner, Garfinkel, 1979); Child Behavior Check-List 1½-5 (Achenbach, Rescorla, 2000); Scala di Valutazione dell’Interazione Alimentare – S.V.I.A. (Lucarelli, Cimino, Perucchini, Speranza, Ammaniti, Ercolani, 2002); Feeding Resistance Scale (Chatoor, Ganiban, Harrison, Hirsch, 2001) è stata svolta da uno psicologo specificamente formato. La bambina, dopo un episodio molto intenso di gastroenterite avvenuto alcuni mesi prima, accompagnato da vomito intenso e ripetuto, ha presentato un evitamento completo dell’alimentazione solida caratterizzato da terrore ed intensa resistenza ad avvicinare all’area della bocca qualsiasi sostanza liquida o solida. Al momento della consultazione i genitori riferiscono che C. viene alimentata attraverso il biberon in uno stato di dormi-veglia durante le ore notturne, nonostante la problematica medica sia stata completamente superata.

Durante la fase dello svezzamento la bambina presentava comportamenti di rifiuto e negativismo verso i nuovi cibi proposti e i pasti erano caratterizzati da estrema lentezza ed intrusività da parte dei genitori. C. non ha mai raggiunto un’alimentazione completamente solida e autonoma.

Dalla valutazione pediatrica, effettuata circa un mese prima della richiesta di consultazione psicologica, è emerso che C. presenta una malnutrizione cronica di grado severo (Kuczmarski, Ogden, Grummer-Strawn, Fegal, Guo, Mei, Curtin, Roche, Johnson, 2000). Non si è evidenziata la presenza di cause organiche collegate allo scarso accrescimento.

 

Brevi cenni anamnestici

C. è la prima ed unica figlia di una coppia di professionisti in età avanzata. Entrambi i genitori si presentano molto agitati e preoccupati per la salute fisica della bambina. Riferiscono che hanno provato molti modi per offrire il cibo alla figlia, anche forzandola, ma senza successo.

La bambina dorme nella stanza dei genitori, non vuole separarsi dal ciuccio che utilizza con grande vigore. E’ inserita all’asilo da oltre sei mesi e continua presentare segnali di intensa angoscia al momento di separarsi dalla madre. C. è descritta dai genitori come molto attiva, vivace, con un linguaggio ancora scarso.

 

Valutazione del funzionamento psicologico dei genitori

Ad entrambi i genitori sono stati somministrati i seguenti strumenti di valutazione: a) Symptom Check-List-90-R (Derogatis, 1994); b) Eating Attitude Test-40 (Garner, Garfinkel, 1979).

a) Entrambi i genitori evidenziano punteggi elevati e comparabili a campioni clinici (Ammaniti, Lucarelli, Cimino, D’Olimpio, Chatoor, 2011) in alcune sottoscale. Madre: somatizzazione=1.1, ossessione-compulsione=1.4, depressione=1.37, ansia=0.9, Padre: ostilità=0.9, ansia=1.2, ansia fobica=1.

b) Entrambi i genitori non superano il punteggio limite nella scala globale (Garner, Garfinkel, 1979). Per la madre si evidenzia un punteggio elevato e comparabile a campioni clinici (Ammaniti et al., 2011; Cuzzolaro, Petrilli, 1988) nella sottoscala bulima e preoccupazioni per il cibo (5.8).

 

Valutazione e osservazione della bambina

Ai genitori è stato chiesto di compilare a) la Child Behavior Check-List 1½-5 (Achenbach, Rescorla, 2000) ed è stata effettuata b) una videoregistrazione del pasto nell’abitazione della famiglia utilizzando la Scala di Valutazione dell’Interazione Alimentare – S.V.I.A. (Lucarelli et al., 2002) e la Feeding Resistance Scale (Chatoor et al., 2001).

a) Sono emersi punteggi elevati e comparabili a campioni clinici (Ammaniti et al., 2011) nelle sottoscale: ansia/depressione=5.2, lamentele somatiche=6.3, ritiro=5.1, comportamento aggressivo=11.6.

b) E’ stata effettuata una videoregistrazione di un pasto principale applicando a) la Scala di Valutazione dell’Interazione Alimentare – S.V.I.A. (Lucarelli et al., 2002) e b) la Feeding Resistance Scale (Chatoor et al., 2001).

a) Sono emersi punteggi elevati e comparabili a campioni clinici (Ammaniti, Lucarelli, Cimino, D’Olimpio, Chatoor, 2010) in tutte le dimensioni della Scala: stato affettivo della madre=17.2, conflitto interattivo=13.6, comportamenti di rifiuto alimentare del bambino=8.4, stato affettivo della diade=7.1.

b) Sono emersi punteggi elevati e comparabili a campioni clinici nelle dimensioni: pre-oral resistance II=17 ed intra-oral resistance=15.

 

Il lavoro clinico con i genitori

Ai genitori sono stati offerti degli incontri di coppia settimanali, condotti da uno psicologo esperto nel lavoro con i genitori, che hanno avuto la durata di sei mesi. Successivamente, la mamma ha iniziato un percorso di psicoterapia individuale con frequenza di due sedute alla settimana all’interno di un servizio pubblico della sua zona di residenza. Dopo i primi tre incontri, considerata la difficoltà dei genitori nel creare una buona alleanza terapeutica e la situazione di urgenza della bambina il cui peso corporeo stava raggiungendo la soglia di attenzione clinica, evidenziato dal pediatra dell’equipe, è stato proposto un intervento domiciliare per C. Nonostante un’iniziale diffidenza, i genitori hanno accettato il lavoro per la figlia, commentando che non avrebbero acconsentito di “portarla in uno studio medico”. Il lavoro con i genitori ha permesso ad entrambi di usufruire di uno spazio di pensiero per riflettere sia sul loro ruolo genitoriale, ma anche sulle loro esperienze di figli con i propri genitori (Chatoor, 2002; Cooper, Whelan, Woolgar, Morrell, Murray,, 2004). Grazie al lavoro di coppia, che ha permesso al padre un’entrata più piena nel suo ruolo genitoriale, la madre ha potuto formulare una richiesta di aiuto per se stessa, entrando maggiormente in contatto con una sua personale difficoltà nell’area dell’alimentazione, che è iniziata negli anni dell’adolescenza.

 

Il lavoro clinico con la bambina

La bambina è stata seguita esclusivamente con un lavoro clinico domiciliare ad orientamento psicodinamico di due volte alla settimana per un periodo di otto mesi. Il lavoro è stato condotto da uno psicoterapeuta esperto in campo infantile. E’ stato programmato un lavoro di avvicinamento nei confronti del cibo, all’interno di una relazione orientata alla condivisione reciproca. Alla bambina è stato spiegato che una dottoressa sarebbe venuta a casa sua per aiutarla a non avere più paura di mangiare e avrebbero giocato insieme C. è stata rassicurata in merito al fatto che la dottoressa non le avrebbe proposto dei cibi che lei non aveva voglia di mangiare.

Possiamo suddividere il percorso svolto in quattro fasi: a) la familiarizzazione con il contesto dell’alimentazione; b) la nascita della curiosità per gli alimenti; c) i primi avvicinamenti del cibo alla bocca; d) l’esperienza dello sporcarsi e del pasticciare.

a) La familiarizzazione con il contesto dell’alimentazione: in questa fase è stato possibile lavorare con la bambina creando una situazione stabile e prevedibile dove potesse svolgersi una situazione di alimentazione.

Inizialmente C. non voleva avvicinarsi assolutamente ad alcun contesto legato ai pasti; ogni proposta dei genitori veniva vissuta con intensa ansia e comportamenti di rifiuto. Iniziando a coinvolgere direttamente la bambina sulla scelta di un luogo dove fosse possibile pensare di fare una merenda, lentamente è stato costituito uno spazio meno terrorizzante nel quale fosse possibile muoversi. La bambina ha stabilito di potersi avvicinare al cibo utilizzando un tavolino basso con una piccola sedia.

Poiché qualunque cibo o bevande diverse dal latte e dell’acqua proposte con il biberon venivano rifiutate, si è proposto alla bambina di utilizzare dei giocattoli come piattini, tazzine, piccole pentole. C., lentamente, ha accettato di portare i giocattoli sul tavolino. E’ stato possibile iniziare un gioco simbolico in cui C. preparava il cibo e lo offriva al clinico. Successivamente, la bambina ha cominciato a provare lei stessa il cibo che immaginava all’interno dei piattini giocattolo.

La possibilità di costruire un contesto di gioco relativo all’alimentazione, ha permesso a C. di fingere di aprire la bocca e di immaginare una situazione alimentare adeguata alla sua età.

Dopo alcuni mesi di lavoro, la bambina ha proposto di prendere alcuni cibi e bevande dalla cucina e di portarli nel luogo allestito per la merenda.

b) La nascita della curiosità per gli alimenti: in questa fase C. ha scelto alcuni cibi e bevande con cui cominciare a giocare. La sua prima richiesta ha riguardato il succo di frutta e, in un secondo tempo, la cioccolata, i biscotti e le caramelle.

Inizialmente, alcune bottigliette con il succo di frutta venivano tenute distanti dal tavolino. C. le guardava, le prendeva in mano senza aprirle. Successivamente, la bambina ha cominciato ad utilizzare le sostanze liquide e a rovesciarle all’interno di piccoli bicchieri giocattolo. Il gioco dei travasi ha permesso a C. di toccare con le mani le sostanze liquide.

Dopo poche settimane, la bambina ha cominciato a giocare con alimenti solidi, scegliendo esclusivamente cioccolata, biscotti e caramelle, sperimentando la possibilità di toccare questi cibi con le mani. All’interno di un clima relazionale reciproco e attento, la bambina ha potuto sperimentare un interesse sempre crescente nei confronti di sostanze alimentari.

C., in questa fase, non avvicinava alcun tipo di cibo alla bocca, ma esclusivamente cioccolata, biscotti e caramelle cominciavano ad essere conosciuti e manipolati con le mani in un contesto di gioco che permetteva la creazione di nuove esperienze di segno positivo e vissute come non pericolose.

c) I primi avvicinamenti del cibo alla bocca: in questa fase la bambina, spontaneamente, ha cominciato ad avvicinare alla bocca alcune sostanze liquide (il succo di frutta, utilizzando dei bicchieri giocattolo) e solide (la cioccolata, i biscotti e le caramelle, utilizzando le mani). Dopo aver assaggiato singolarmente questi cibi e il succo di frutta, ha iniziato a mischiarli insieme: avvicinava alla bocca piccolissime quantità di cibi e/o liquido per assaggiare i sapori che aveva prodotto unendo insieme gli alimenti. In un primo tempo, C. manifestava reazioni di disgusto e osservava sempre il clinico dopo i suoi tentativi di assaggio. Attraverso un rispecchiamento positivo, in cui il clinico lodava le iniziative della bambina e, su richiesta di C., assaggiava alcuni cibi, la bambina ha cominciato a mettere in bocca maggiori quantità di solidi e di liquido. Possiamo ipotizzare che C. abbia potuto sperimentare una buona reciprocità relazionale con il clinico, cioè uno scambio diadico sincrono e adeguato alle sue necessità di sviluppo, un accompagnamento emotivamente presente, ma non intrusivo, all’interno di un contesto alimentare dove potesse essere lei a decidere i tempi e le modalità di avvicinamento ai diversi cibi.

d) L’esperienza dello sporcarsi e del pasticciare: in questa fase dell’intervento la bambina ha iniziato a chiedere diverse tipologie di cibi e a manipolarli, compiendo un’esplorazione inizialmente tattile e successivamente orale. C. ha utilizzato il cibo per pasticciare con le mani, mischiando cibi di diverso colore, consistenza e sapore. Attraverso l’esperienza dello sporcarsi C. ha potuto conoscere l’oggetto cibo attraverso il suo corpo utilizzando le proprie capacità e dosando il proprio ritmo di esplorazione.

Attraverso l’incoraggiamento del clinico la bambina ha attraversato una fase di sperimentazione in cui diverse varietà di cibi potevano essere toccate senza timore e assaporate in piccole quantità, utilizzando le mani per portare i cibi alla bocca. Molto rilevante si è dimostrata l’esperienza del provare diversi cibi e poter esprimere a parole piacere e/o disgusto senza l’attivazione di comportamenti di paura e di terrore fobico.

In questa fase, la bambina ha cominciato anche con  i genitori ad avvicinarsi a diversi tipi di cibi, a toccarli e a portarne alla bocca piccole quantità, inizialmente senza sedersi al tavolo, ma decidendo lei quando e come prendere piccoli pezzetti di cibo che i genitori preparavano per lei sul bordo del tavolo durante i pasti. Successivamente, C. ha cominciato a sedersi al tavolo durante le cene familiari e a poter avere di fronte un proprio piatto senza dimostrare ansia, paura ed immediato allontanamento. La bambina ha iniziato ad accettare di prendere da sola con le mani alcuni pezzetti di cibo dal proprio piatto, rimanendo seduta al tavolo durante i pasti insieme ai genitori. C. non accettava di essere imboccata dai genitori secondo i loro tempi e le loro modalità, strillando ad ogni tentativo dei genitori di alimentarla.

Probabilmente, si è potuto riattivare un processo di sviluppo che sembrava essersi interrotto nella fase dello svezzamento: C ha iniziato a dimostrarsi interessata al cibo vissuto come un oggetto da esplorare e da utilizzare nel gioco.

 

Conclusioni

Il caso clinico riportato, necessariamente parziale ed incompleto, mette in luce alcuni punti sui quali può essere interessate riflettere:

a) Il problema della diagnosi e della pianificazione del successivo intervento: la possibilità di offrire una diagnosi specifica che permetta la messa a punto di un successivo intervento clinico mirato risulta fondamentale per sostenere il nucleo familiare. Nel caso di C., l’ansia fobica e il terrore alla vista del cibo della bambina, specifici di una reazione avversiva dovuta all’esperienza organica dolorosa e traumatizzante, amplificavano le intense preoccupazioni dei genitori, rendendo il contesto alimentare un’esperienza della quotidianità nei confronti della quale non era possibile avvicinarsi. In queste situazioni, in cui i comportamenti alimentari disfunzionali sono comparsi e si sono stabilizzati in seguito ad un problema medico della sfera orale, riteniamo fondamentale organizzare il lavoro clinico sia con i genitori sia con la bambina, per abbassare il livello di allarme nel nucleo familiare e favorire nuove possibilità di relazione (Nicholls, Bryant-Waugh, 2009).

b) Il ruolo del funzionamento emotivo-adattivo della bambina: considerando le caratteristiche emotive della bambina, dalla valutazione iniziale sono emersi tratti di ansia, depressione, problemi somatici e aggressività. Naturalmente non sappiamo se queste difficoltà siano antecedenti o successive al rifiuto del cibo successivo all’episodio medico, ma possiamo ritenere che le caratteristiche individuali di C. siano entrate in linea con il funzionamento psicologico dei genitori, particolarmente della madre. Diversi studi hanno messo in luce che le madri che presentano difficoltà nella propria alimentazione e tratti di rischio psicopatologico nell’area della depressione, misurano la loro competenza genitoriale in relazione a quanto e a come mangia il figlio e rappresentano un rilevante fattore di rischio per la comparsa nei figli delle medesime difficoltà emotivo-adattive (Chatoor, 2002; Hagekull, Bohlin, Rydell, 1997; Micali, Simonoff, Treasure, 2009). Nel caso di C. siamo spinti a supporre che la bambina presentasse già un disturbo dell’alimentazione prima della problematica medica, che potrebbe collegarsi alle difficoltà psicopatologiche materne che hanno permeato gli scambi relazionali con C. fin dai primi mesi di vita. E’ possibile quindi parlare di “contagio materno o trauma vicario” per comprendere meglio il complesso quadro clinico espresso da C.

c) Il contributo del funzionamento psicologico dei genitori: naturalmente, come evidenzia il caso clinico presentato, il profilo psicologico di entrambi i genitori rendeva molto complessa la dinamica interattiva, all’interno della quale la reazione emotiva di allarme di tutto il sistema familiare sembrava essere esacerbata e mantenuta dalle caratteristiche individuali dei genitori, particolarmente della madre. Infatti, dalla valutazione iniziale, erano emerse caratteristiche a rischio nel funzionamento emotivo di entrambi i genitori, caratterizzato da un’elevata ansia fobica e, specificamente per la madre, erano stati individuati stati depressivi, somatizzazione e difficoltà personali nella regolazione della propria alimentazione.

Da alcuni autori è stato ipotizzato il meccanismo della trasmissione intergenerazionale, secondo cui le funzioni di caregiving compromesse da difficoltà affettive del genitore, come nelle situazioni di disturbi del comportamento alimentare, danno luogo a modalità relazionali imprevedibili, incoerenti ed intrusive nella comunicazione affettiva con il bambino durante i momenti di interazione condivisa, che si associano spesso a disturbi infantili nella regolazione emotiva e nella stabilizzazione dei ritmi alimentari (Ammaniti, Lucarelli, Cimino, D’Olimpio, 2004; Ammaniti et al., 2010; Zachrisson, Skarderud, 2010).

Interessante risulta il contributo del padre all’interno della dinamica alimentare (Atzaba-Poria, Meiri, Millikovsky, Barkai, Dunaevsky-Idan, Yerushalmi, 2010). In particolare, lo stato emotivo del padre di C., caratterizzato da sintomi ansiosi, sembra non permettere alla madre di gestire adeguatamente le dinamiche della separazione-individuazione (Mahler, Pine, Bergman, 1975): possiamo ipotizzare che il padre, con le proprie preoccupazioni sulla salute fisica della figlia, abbia esasperato i comportamenti di intrusività materna durante l’alimentazione e abbia favorito il perdurare di un’intensa ansia di separazione nella coppia madre-figlia, manifestata anche dalle difficoltà della bambina nel separarsi dalla madre per entrare al nido, contesto scolastico che la bambina frequenta abitualmente.

Crediamo sia interessante aggiungere che gli insegnanti del nido hanno effettuato alcuni incontri congiunti sia con il clinico che seguiva i genitori sia con quello che si occupava della bambina con la presenza della coppia genitoriale e sono state date loro della direttive per sostenere il lavoro terapeutico. In particolare, è stato indicato di proporre alla bambina i medesimi alimenti degli altri compagni, e non i cibi preparati dalla madre che C. era solita portare, lasciandola libera di avvicinarsi ai vari alimenti qualora ne avesse voglia, senza alcuna insistenza. Questa indicazione ha modificato l’atteggiamento delle insegnanti, che cercavano di imboccare insistentemente la bambina, provocando esclusivamente una reazione di intenso rifiuto. Possiamo ipotizzare che i cambiamenti occorsi nel lavoro clinico, abbiamo permesso a C. di cominciare a sperimentare piccole quantità di cibo e di sostanze liquide anche nel contesto scolastico.

Infine, il lavoro di equipe effettuato, che si è avvalso dell’intervento di più figure professionali, pensiamo possa rappresentare un utile modello di lavoro da utilizzare in casi simili. In particolare, il lavoro domiciliare, che ha permesso ai genitori di accettare un intervento specifico sulla figlia, crediamo rappresenti un utile spazio per iniziare un percorso di cura che prenda in carico il contesto familiare nella sua globalità.

 

Bibliografia

Achenbach, T. M., Rescorla, L.A. (2000). Manual for the ASEBA preschool forms and profile. Burlington, VT: University of Vermont, Department of Psychiatry.

Atzaba-Poria, N., Meiri, G., Millikovsky, M., Barkai, A., Dunaevsky-Idan, M., Yerushalmi, B. (2010). Father-child and mother-child interaction in families with a child feeling disorder: the role of paternal involvement. Infant Mental Health Journal, 31 (6), 682-698.

Ammaniti, M., Lucarelli, L., Cimino, S., D’Olimpio, F. (2004). Transmission intergénérationelle: troubles alimentaires de l’enfance et psychopathologie maternelle. Devenir, 16 (3), 173-198.

Ammaniti, M., Speranza, A.M., Tambelli, R., Muscetta, S., Lucarelli, L., Vismara, L., Odorisio, F., Cimino, S. (2006). A Prevention and Promotion Intervention Program in the field of mother-infant relationship. Infant Mental Health Journal, 27 (1), 70-90.

Ammaniti, M., Lucarelli, L., Cimino, S., D’Olimpio, F., Chatoor, I. (2010). Maternal psychopathology and child risk factors in infantile anorexia. International Journal of Eating Disorders, 43, 233-240.

Ammaniti, M., Lucarelli, L., Cimino, S., D’Olimpio, F., Chatoor, I. (2012). Feeding disorders of infancy: a longitudinal study to middle childhood, International Journal of Eating Disorders, 45 (2), pp. 272-280.

Benoit, D. (2000). Feeding disorders, failure to thrive, and obesity. In C. H. Zeanah (eds.), Handbook of infant mental health. New York-London: Guilford Press, pp. 339-352.

Bryant-Waugh, R., Markham, L., Kreipe, R. E., Wolsh B. T. (2010). Feeding and eating disorders in childhood. International Journal of Eating Disorders, 43 (2), 98-111.

Chatoor, I. (2002). Feeding disorders in infants and toddlers: Diagnosis and treatment. Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America, 11, 163-183.

Chatoor, I., Ganiban, J., Harrison, J., Hirsch, R. (2001). Observation of feeding in the diagnosis of posttraumatic disorder of infancy. Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 40, 595-602.

Cooper, P. J., Whelan, E., Woolgar, M., Morrell, J., Murray, L. (2004). Association between childhood feeding problems and maternal eating disorder: role of the family environment. British Journal of Psychiatry, 184, 210-215.

Cuzzolaro, M., Petrilli, A. (1988). Validazione della versione italiana dell’EAT-40. Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 55, 209-217.

Derogatis, L. R. (1994). SCL-90-R Symptom Checklist-90-R. Administration, scoring and procedures manual. MNV, Minneapolis: National Computer Systems.

Garner, D. M., Garfinkel, P. E. (1979). The Eating Attitudes Test: an index of the symptoms of anorexia nervosa. Pychological Medicine, 9, 273-279.

Hagekull, B., Bohlin, G., Rydell, A. (1997). Maternal Sensitivity, Infant Temperament and the Development of Early Feeding Problems. Infant Mental Health Journal, 18 (8), 92-106.

Kreisler, L. (1985). Conduites alimentaires déviantes du bébé : l’anorexie mentale, la rumination ou mérycisme, les vomissements psychogènes. In Lebovici S., Diatkine R., Soulé M., Noveau traité de psichiatrie de l’enfant et de l’adolescent. Paris: Quadrige.

Kreisler, L., Cramer, B. (1982). Le bébé du dèsordre. In T. B. Brazelton, B. Cramer, L. Kreisler, M. Soulè (a cura di). Psichiatrie du bébé. Paris: Eshel.

Kuczmarski, R. J., Ogden, C. L., Grummer-Strawn, L. M., Fegal, K. M., Guo, S. S., Mei, Z., Curtin, L. R., Roche, A. F., Johnson, C. L. (2000). CDC growth charts: United States. Advances Data, 314, 1-27.

Lucarelli, L., Cimino, S., Perucchini, P., Speranza, A. M., Ammaniti, M., Ercolani A. P. (2002). I disturbi alimentari nella prima infanzia: validazione di uno strumento osservativo dell’interazione madre-bambino. Infanzia e Adolescenza, 2, 113-124.

Mahler, M., Pine, F., Bergman, A. (1975). The Psychological Birth of Human Infant Symbiosis and Individuation. New York: Basic Books.

Manzano, J., Palacio-Espasa, F. (1993). Las terapias en psiquiatria infantil y en psicopedagogía. Barcelona: Ediciones Paidòs.

McDonough, S. C. (2004). Interaction guidance: promoting and nurturing the caregiving reltionship. In Sameroff A. J., McDonough S. C., Rosenblum K. L., Treating parent-infant relationship problems: strategies of interventions. New York: Guilford Press.

McGrath Davis, A., Bruce, A., Cocjin, J., Mousa, H., Hyman, P. (2010). Empirically supported treatments for feeding difficulties in young children. Current Gastroenterology Reports, 12 (3), 189-194.

Micali, N., Simonoff, E., Treasure, J. (2009). Infant feeding and weight in the first year of life in babies of women with eating disorders. The Journal of Pediatrics, 154 (1), 55-60.

Nicholls, D., Bryant-Waugh, R. (2009). Eating disorders of infancy and childhood: definition, symptomathology, epidemiology and comorbidity. Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America, 18 (1), 17-30.

Sweet MA, Appelbaum MI (2004). Is Home Visiting an effective strategy? A meta-analytic review of home visiting programs for families with young children. Child Development, 75, 5, 1235-1456.

Zachrisson, H.D., Skarderud, F. (2010). Feelings of insecurity: review of attachment and feeding disorders. European Eating Disorder Review, 18, 97-106.

Published online: 30 December 2014

E-Journal of Psychotherapy Research

Copyright: © 2014 Silvia Cimino & Luca Cerniglia. This is an open-access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License. The use, distribution and reproduction of this article is permitted, provided the original authors and licensor are credited and that the original publication in E-Journal of Psychotherapy Research is cited in accordance with accepted academic practice. No use, distribution or reproduction is permitted which does not comply with these terms

.